Attentati: Di Natala (esperto di intelligence), “un branco di lupi solitari” a servizio del “Califfato liquido”



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Il terrorismo sarà un fenomeno di “lunga durata con il quale dovremmo imparare a convivere e contro il quale si dovrà combattere uniti. L’importante è non cadere nell’obiettivo dei terroristi che è quello di polarizzare le nostre società e non permettere loro di fare proseliti”. Parla Leandro Di Natala, italiano, analista presso l’Esisc (European Strategic Intelligence and Security Center) che ha sede a Bruxelles. A lui abbiamo chiesto di fare luce – per quanto sia possibile allo stato attuale delle indagini – su quanto è successo in Catalogna, dove l’attentato alle Ramblas prende sempre più i contorni di un attacco deliberato, preparato da mesi e coordinato. “Non ci troviamo di fronte ad un lupo solitario ma di fronte ad un branco di lupi”, dice subito l’esperto. “Un vero e proprio network composto da una dozzina di elementi”.

Rispetto ad altri attacchi in Europa, quali sono le novità che emergono?
Quello che si evince dalle indagini (ancora in corso) è che i terroristi non avevano un addestramento specifico e i mezzi che avevano a disposizione hanno fallito, tanto che alcuni di loro sono saltati in aria nella città di Alcanar. Questo ha certamente contribuito ad accelerare i tempi per gli attacchi a Barcellona e Cambrils ma ha anche obbligato ad utilizzare mezzi poco sofisticati. Il fatto però che siano coinvolte tre città diverse, che dietro ci sia un network di una dozzina di elementi, tutti giovani, tutti reclutati e radicalizzati da un imam, è un elemento di novità.

Il quadro che sta delineando, descrive persone piuttosto sprovvedute. È così?
È prematuro allo stato attuale delle indagini fare analisi approfondite. Il fatto però che stessero lavorando su bombole di gas, mostra che non ci fosse tra loro un esperto di esplosivi, in grado di fare delle vere e proprie cinture esplosive come quelle impiegate negli attentati di Parigi o di Manchester. In quest’ultima città, il terrorista era stato addestrato in Libia a confezionare

la cosiddetta “madre di Satana”

con il famoso esplosivo “tatp”, altamente instabile che può essere gestito solo da qualcuno che è stato addestrato da esperti.

Questo significa che è sempre più difficile per i terroristi confezionare e reperire armi e esplosivi? Si può parlare di un segnale di debolezza?
Sicuramente è stato un fattore tattico di debolezza non avere esperti in grado di realizzare esplosivi in questo caso. D’altra parte

il vantaggio dei terroristi è l’ampiezza del bacino di reclutamento che mette a disposizione persone pronte a tutto, ad uccidere e farsi uccidere.

È un lavoro molto difficile per i servizi di sicurezza identificare, seguire e sorvegliare tutti i possibili sospetti. Un altro fattore di vantaggio è l’utilizzo di veicoli che diventano per loro armi low cost ma estremamente efficaci. Dall’attentato di Nizza ad oggi praticamente l’80% delle vittime degli attentati europei si sono verificati con questo modus operandi: veicoli lanciati nella folla.

Abdelbaki Es Satty, il quarantenne imam marocchino di Ripoll, nel 2016 aveva trascorso tre mesi in Belgio a Vilvoorde, vicino a Bruxelles, che con Molenbeek è un luogo con un forte numero di jihadisti. È possibile parlare di una rete europea organizzata? Tra di loro, i terroristi si conoscono?
È chiaro che non possiamo escludere allo stato attuale che ci fossero dei contatti come è chiaro che ci troviamo di fronte a un fenomeno transnazionale e, quindi, movimenti e comunicazioni circolano. Quello che è certo è che lo Stato Islamico ha perso l’elemento che lo distingueva dalla sua rivale Al Qaida e, cioè, il possesso e l’amministrazione di un territorio fisico ed ha quindi tutto l’interesse a mantenere la pressione di questi attacchi sull’Occidente dimostrando ai propri potenziali supporters che è ancora il gruppo terroristico principale. Anche se perde territori,

il suo califfato da territoriale sta diventando un califfato liquido che continua ad esistere nonostante le sconfitte militari proprio tramite i terroristi fai-da-te che si muovono singolarmente o in branco.

Si è sempre detto che rispetto a Francia, Belgio e Gran Bretagna, l’Italia e la Spagna non erano obiettivi privilegiati dell’Isis. Perché colpire la Spagna?
Non è vero. L’Italia e la Spagna sono sempre stati degli obiettivi, considerati secondari, ma pur sempre obiettivi. Per capire perché si è colpita la Spagna, bisogna calarsi nella mentalità jihadista per la quale la Spagna è ancora parte di al-Andalus, cioè la provincia musulmana che dall’VIII secolo dopo Cristo al XV secolo, dopo la reconquista, era parte integrante del Califfato islamico e terra islamica in Europa per secoli. Quindi colpire la Spagna è altamente coerente con il pensiero jihadista e, quindi, altamente simbolico.

Ma la Spagna era attrezzata sufficientemente a contrastare la minaccia terroristica o è stata presa alla sprovvista?
Le forze dell’ordine erano allertate ma, come ho detto di prima, ci troviamo di fronte ad un fenomeno di enorme ampiezza e liquidità. Il nemico è una ideologia che riesce a reclutare centinaia di persone, anche insospettabili. D’altronde non è pensabile blindare la vita di una città come Barcellona o impedire movimenti di massa e turismo sulle Ramblas o nella Sagrada Familia. Non è altresì possibile controllare tutti e controllare tutto. Siamo di fronte a supporters e potenziali terroristi il cui numero non è facilmente sorvegliabile e il cui legame tra di loro è stretto. Nel caso spagnolo c’erano 4 coppie di fratelli e di fronte ai legami parentali la cellula è ancora più forte e impermeabile. Una cosa però sicuramente è importante: lo scambio di informazioni, la prevenzione con un forte lavoro di intelligence ed una partecipazione attiva delle comunità islamiche che devono contribuire con denunce e un lavoro anche di tipo ideologico ribadendo con forza che ogni forma di violenza e terrorismo è contraria al Corano.

È credibile la minaccia sull’Italia apparsa sul sito Site?
L’Italia da molto tempo ormai è indicata come possibile obiettivo dei jihadisti. Per cui la minaccia all’Italia è estremamente credibile e probabile. Il pericolo c’è e sussiste e non si può assolutamente abbassare la guardia.

L’Italia ha come capitale Roma che simbolicamente rappresenta l’Occidente e ospita il capo della Chiesa cattolica che, da un punto di vista jihadista, è il capo dei “crociati”.

È chiaro che, purtroppo, tutto questo fa dell’Italia un obiettivo e gli apparati di sicurezza ne sono consapevoli.


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