Giornale di Sicilia: «Siamo in guerra ma non con l’Islam. Rischi molto alti anche in Italia»



«Siamo in guerra ma non con l’Islam. Rischi molto alti anche in Italia»

L’intervista a Leandro Di Natala di Gerardo Marrone (Giornale di Sicilia)

«Siamo in guerra con il terrorismo.Ma è una guerra che va combattuta con servizi di intelligence, forze speciali, attacchi di droni. Attenti, poi, a capire che il nostro nemico non è l’Islam, non sono i musulmani. Loro sono le prime vittime del Califfato». Leandro Di Natala, analista dell’Esisc — il Centro europeo di studi sulla sicurezza, con sede a Bruxelles — e dell’Istituto romano di ricerche «Machiavelli», mette in guardia da «generalizzazioni e allarmismi». Che sono sempre dietro l’angolo. Ancor più se a Roma e Milano,com’è avvenuto ieri, vengono scoperti e arrestati «qaedisti» impegnati nel progettare attentati e sospetti affiliati dell’Isis.

Prima operazione in Italia contro dieci presunti «devoti» dello Stato Islamico. Sono solamente la punta di un iceberg?

«Non direi che sono molti, anche guardando ai numeri in arrivo da altri Paesi. Gli arrestati erano aspiranti ”foreign fighters”, che volevano raggiungere lo Stato Islamico. Attualmente, i ”combattenti” italiani in Siria dovrebbero essere circa 65. Sono le cifre fornite dal capo dell’Antiterrorismo, Mario Papa, in marzo. La particolarità dell’operazione di Milano, invece, sta nel fatto che la principale figura dell’inchiesta sia una donna (Maria Giulia, che ora si fa chiamare «Fatima» e da mesi vive nel Califfato, ndr)».

Appena lunedì, però, il leader leghista Matteo Salvini ha detto che «si trovano tra noi quasi 50 mila potenziali terroristi». Un’esagerazione?

«Affrontando questo argomento, bisogna stare attenti a due tentazioni: il terzomondismo buonista e ingenuo, da un lato, e il cinismo a fini elettorali, dall’altro. Frasi come quella di Salvini fomentano la paura che, poi, è la migliore alleata dei terroristi. Paura, ignoranza, violenza fanno il gioco dei  fondamentalisti islamici. Non è solo un’esagerazione, ma soprattutto ciò significa non capire che siamo di fronte a un fenomeno epocale che è interno all’Islam e lo sta dilaniando».

Ordini di custodia contro una famiglia lombarda convertita all'Islam e alcuni albanesi. Niente immigrati nordafricani o mediorientali: una sorpresa?

«No. Già in passato abbiamo appreso di altri convertiti italiani, come Giuliano Del Nevo che è andato in Siria e lì è morto combattendo (due anni fa, ndr). Ribadisco, comunque, che da noi i numeri sono molti ridotti. I ”foreign fighters” francesi, ad esempio, sono milleduecento. È un errore, allora, parlare di migliaia di potenziali terroristi musulmani in Italia, ancor di più fomentare l’idea di una guerra tra Occidente e Islam».

Altrettanto sbagliato dire che i barconi portano terroristi sulle nostre coste?

«I rischi possono esserci, ci sono. Possibile, peraltro, che l’Isis chieda tangenti ai trafficanti di  uomini,ma non risulta che incentivi l’immigrazione o che usi quel mezzo per entrare in Italia. Possono farlo, tranquillamente, in altro modo».

A Milano, la Procura ha contestato agli indagati il nuovo reato di «organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo». Per qualcuno,un processo alle intenzione. Reggerà in sede giudiziaria?

«Difficile dirlo. In molte nazioni europee, però, questa misura è stata adottata. Sono in  sperimentazione, comunque, anche iniziative di deradicalizzazione: in Danimarca e in altri Paesi i ”foreign fighters” al loro ritorno, o anche prima della partenza, vengono indotti a intraprendere un percorso che si basa sull’irrobustimento dei legami familiari, sulla ricerca di un lavoro, sul  miglioramento delle condizioni economiche. Vedremo che risultati daranno questi progetti di reinserimento».

Per «Fatima» e per moltissimi altri miliziani stranieri, decisivo l’indottrinamento on-line. Siti del Califfato e affini sono da oscurare, o è meglio usarli come strumento di intelligence?

«Si possono fare entrambe le cose. Anche se risulta abbastanza difficile oscurare, ad esempio, migliaia di account Twitter (almeno 45 mila quelli usati da reclutatori dell’Isis,secondounostudio della «Brookings Institution» statunitense, ndr).Una volta eliminati alcuni, inoltre, ne nascono subito altri. È, quindi, necessaria l’azione di ”cyber-intelligence” per contrastare questo fenomeno. Non è facile, però, che riesca. Comunicare in modo più popolare e sofisticato, d’altronde, èun tratto caratteristico del Califfato che in questo modo raggiunge una platea più vasta: non solo una casta di indottrinati, ma anche una massa di fanatici».

A Roma, ieri, altro blitz. Stando alle accuse, due maghrebini sospettati di legami con al-Qaeda volevano colpire in Italia e Nord Africa. Nell’anno di «Expo» e Giubileo, il rischio aumenta per il il nostro Paese?

«La guardia va tenuta alta, i rischi sono alti. Estremamente elevati, poi, i timori di attacchi a obiettivi occidentali per tutto il periodo del Ramadan, che finirà il 17 luglio. Al di là dei ”foreign fighters”,  comunque, possono essere progettati attacchi da ”lupi solitari”o da vere e proprie cellule terroristiche, come quella scoperta in Sardegna (diciotto i fermati in aprile, tra cui l’imam di Olbia, ndr). Insomma, la minaccia è a diversi livelli.E il monitoraggio, per le forze dell’ordine, non è per nulla facile.Una cosa è tenere sotto controllo 65 ”foreign fighters”, un’altra doverlo fare con migliaia di potenziali terroristi. Per ciascuno, infatti, servono almeno una decina di agenti!».


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